Il presidente IVASS e direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, nella sua lezione aperta su “L’unione economica e monetaria” presso l’Università degli Studi Roma 3, ripercorre la storia dell’idea europeista per approdare alla grande questione: vogliamo ancora un legame sovranazionale europeo e quale? E se sì, quale Europa occorre perché quel legame si perpetui? Rossi fornisce risposte nette a favore della conservazione dei legami europei. “Il caso dell’Unione bancaria, ultima nata fra le costruzioni europee, è – spiega – emblematico delle difficoltà in cui versa oggi l’idea europeista. A dispetto del suo nome, solo negli enunciati essa punta a integrare il mercato bancario in Europa, in realtà serve di fatto a difendere le banche di alcuni paesi dai problemi delle banche di altri. In questo senso non è un avanzamento sulla strada della sovranazionalità, è un arretramento”.
“C’è un punto fondamentale su cui conviene soffermarsi. Essere integrati – spiega Rossi – conviene a tutti gli europei: il benessere collettivo in Europa è tanto maggiore e meglio distribuito quanto più ci si avvicina a una vera federazione di Stati. La stessa importanza geopolitica di un’Europa unita è molto maggiore della somma di quelle dei singoli Stati che la compongono. Questa convenienza va fatta ridiventare sentimento. Molti cittadini europei sono angosciati dal futuro: dal pericolo – non importa se reale o immaginario – di flussi incontrollati di immigrazione, dal terrorismo religioso, dalle trasformazioni che si annunciano nel lavoro di massa. Quando si avverte un pericolo la tendenza è ad asserragliarsi. Ma farlo ciascuno nella propria casa è un’idea peggiore che farlo insieme agli altri nel palazzo in cui tutti si abita. L’Europa è il palazzo a cui apparteniamo”.
“Le persone che vedono l’oggettiva convenienza, anche economica, dello stare uniti devono lavorare a tradurla agli occhi della collettività in termini non più e non solo economici, ma di altri collanti basilari come la difesa e la sicurezza. Devono soprattutto rendere attraente sentirsi europei”. Rossi propone un’analogia: la grande musica dei secoli XVIII e XIX e l’Europa. La grande musica di questi due secoli visse la stessa voglia di rottura degli schemi, di modernità, che spirava impetuosamente nelle altre arti. La musica colta occidentale alla fine cedette il suo scettro alla musica popolare: tecnicamente molto più rozza, ma capace di parlare al cuore di milioni, di miliardi di esseri umani.