Dal 28 febbraio al 5 marzo il Teatro di Roma dedica una “personale” al lavoro della coppia d’artisti Elvira Frosini e Daniele Timpano, pungenti irregolari della scena capitolina, che presentano al Teatro India ben quattro dei loro spettacoli prodotti a partire dal 2012. Dopo il successo del loro Alla città morta, episodio conclusivo di Ritratto di una Capitale al Teatro Argentina nel 2014 e nel 2015, il duo Frosini/Timpano approda al Teatro India portando in scena i loro corpi che disinnescano, decostruiscono e incarnano le narrazioni della Storia, le derive antropologiche della società e un vasto materiale che si innesta nella coscienza contemporanea. Un complesso dispositivo teatrale in cui gli attori-autori sono sempre in dialogo con il pubblico e in bilico tra l’incarnazione di personaggi, mitologie culturali, topoi della Storia, portando in campo il proprio perturbante rapporto con la Storia stessa e la cultura, in un gioco di scivolamenti spiazzanti e dissacranti in cui pongono questioni radicali: ‘Il nostro dialogo con il pubblico – commentano Frosini/Timpano – è basato sulla co-esistenza con gli spettatori, su ciò che condividiamo qui, oggi: la stessa ipocrisia, cliché, le stesse paure, le stesse nevrosi, la stessa sorte’.
È a partire da queste riflessioni che la coppia d’artista si rivolge direttamente al pubblico interrogandolo con Acqua di colonia (dal 28 febbraio al 2 marzo) se ‘il nostro pensiero sia colonialista e razzista?’; con Aldo morto (3 marzo) se ‘gli anni Settanta siano stati l’ultimo barlume di coscienza reattiva o una mitizzazione?’; con Digerseltz (4 marzo) se ‘a questo vuoto corrispondano risposte oppure parole che possano colmare la voragine di senso e la paura che ci assale?’; con Zombitudine (5 marzo) se ‘l’immobilismo sociale, culturale, politico, questa “zombitudine” in cui siamo tutti, abbia una via di uscita, una possibilità di coscienza?’. Si parte dal 28 ottobre al 2 marzo con l’ultimo lavoro (presentato a Romaeuropa Festival nell’autunno 2016), Acqua di colonia, uno spettacolo che affronta il rimosso del colonialismo italiano, una storia negata che dura 60 anni, iniziata già nell’Ottocento, ma che nell’immaginario comune si riduce ai 5 anni dell’Impero Fascista. Il fuoco del lavoro è tutto sull’oggi e su un altro rimosso, il nostro razzismo; sul nostro disagio nell’affrontare le migrazioni e trovare forme di convivenza; sul pensiero colonialista che risiede inconsapevolmente in noi; sulla nostra ipocrisia. Un falò di cortocircuiti, di risate e sensi di colpa, in cui si dissacrano i miti della mentalità coloniale e si smaschera il nostro sguardo – italiano, europeo, occidentale – sempre e solo rivolto su noi stessi.
Si continua il 3 marzo con Aldo morto e il 4 marzo con Digerseltz, due lavori del 2012 che hanno segnato un passaggio importante nel percorso e nel linguaggio della coppia, in cui si affronta il tema del declino e del vuoto politico, culturale e antropologico nel quale siamo immersi. Aldo morto è stato tradotto e presentato a Parigi per “Face à Face” nel 2015, ha vinto il Premio Rete Critica 2012 ed è stato candidato al Premio Ubu come migliore novità drammaturgica. Il progetto Aldo morto 54 (54 giorni di repliche dello spettacolo e 54 giorni di auto-reclusione di Daniele Timpano in streaming in una cella ricostruita appositamente) ha vinto il Premio Nico Garrone nel 2013. Parlando di Aldo Moro, Lotta armata e anni Settanta, si tocca una storia recente, ancora attaccata alla pelle di noi tutti, si tocca l’inarrestabile declino del nostro Paese, si fanno i conti con quell’ultimo guizzo di vitalità che ha attraversato la nostra vita civile e politica. È lo stesso vuoto aperto come un’insondabile voragine da Digerseltz, vera e propria macellazione della mitologia contemporanea del cibo, in cui si fanno i conti con l’horror vacui dell’esistenza e di un presente cannibalico e si tocca l’insicurezza e la paura del nostro mondo che avverte lo sfaldamento del benessere e il timore di essere cannibalizzati dai nostri stessi mostri. Il corpo in scena, restituito come prodotto del bio-potere, diviene solitario pasto sacrificale di una società in preda ad una bulimia riempitiva del vuoto culturale, in cui segni e oggetti quotidiani (il frigo, la tavola, il compleanno, il presepe) si trasmutano in icone di una ritualità ossessiva che ha perduto ogni rapporto con il sacro. Infine il 5 marzo torna in scena Zombitudine, spettacolo che ha debuttato al Teatro della Tosse di Genova nel 2013 e ha segnato un importante punto di svolta nel percorso dei due artisti. Dopo essere stato presentato al Romaeuropa nel 2014, come i precedenti lavori continua ad avere una lunga tournée in Italia. Zombitudine tenta di costruire qualcosa di vivo a partire dalla tabula rasa del nostro presente. Si parte non da un fatto storico, non da un cadavere eccellente, ma dai nostri cadaveri viventi, che vivono la propria spensierata morte. Si prende in prestito dall’immaginario collettivo un mostro, lo Zombi, e gli si dà corpo: ‘se il corpo morto dello Stato è un corpo zombi, sono zombi anche i corpi di noi cittadini, non più vivi ma nemmeno morti, di uno Stato non ancora morto ma mai stato vivo’.