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Politica, Pd

Pd, Renzi: voglio evitare qualsiasi scissione. Ma “il dubbio è che si voglia comunque rompere”

Franceschini: scissione ora sarebbe un dolore enorme. La sua proposta di mediazione consiste nell’allungare i tempi del congresso fino a maggio mese in cui ci sarebbero le primarie
fonte: ilVelino/AGV NEWS
di Redazione

“Il Pd appartiene al popolo, non ai segretari. Faccio un appello ai dirigenti: bloccate le macchine della divisione. Non andatevene, venite. Partecipate. Le porte sono aperte, nessuno caccia nessuno. Ma un partito democratico non può andare avanti a colpi di ricatti. Apriamo le sedi dei circoli e discutiamo. E, finalmente, torniamo a parlare di Italia”. Questo l’appello che il leader del Pd Matteo Renzi lancia dal “Corriere della Sera”. “Io voglio evitare qualsiasi scissione. Se la minoranza mi dice: o congresso o scissione, io dico congresso. Ma se dopo che ho detto congresso loro dicono “comunque scissione”, il dubbio – dice Renzi – è che si voglia comunque rompere. Che tutto sia un pretesto. Toglieremo tutti i pretesti, tutti gli alibi. Vogliono una fase programmatica durante il congresso? Bene. Ci stiamo. Martina, Fassino, Zingaretti, hanno lanciato proposte concrete. Vanno bene. Però facciamo scegliere la nostra gente: davvero qualcuno ha paura della democrazia?”. E ancora: “Non so se e quando tornerò a Palazzo Chigi. Lasciarlo mi è costato molto, ma era giusto e doveroso. Ho perso il referendum e mi sono dimesso da tutti gli incarichi, caso più unico che raro per un politico. Ma non posso dimettermi da italiano. E non voglio. Ci si dimette da una poltrona, non ci si dimette dalla speranza che tutti insieme vogliamo portare avanti. Milioni di italiani chiedono una politica che non sia solo contro qualcuno. Che non sia solo contestazione, ma sia fatta di proposte. Io ci sono e sono in campo. Con umiltà e tranquillità. Ma anche con coraggio e determinazione. Siamo in tanti. Milioni di persone. Non sufficienti a vincere un referendum, d’accordo. Ma in grado di cambiare tante cose. E non rinunceremo a farlo”. Alla domanda su quando si andrà a votare l’ex premier risponde con un “E chi lo sa? La data del voto interessa solo gli addetti ai lavori. La gente vorrebbe sapere cosa pensiamo di tasse, burocrazia, lavoro, infrastrutture, innovazione. Non è interessata al quando, ma ai contenuti. Non sarò io a decidere la data, non sono più il presidente del Consiglio”. Questo significa che si può arrivare alla fine della legislatura? “In teoria, certo. In pratica deciderà il presidente della Repubblica, sulla base della situazione politica”.

La scissione “sarebbe soprattutto un dolore enorme. Il partito non è proprietà di alcuni capi che litigano. Stiamo discutendo di una forza politica che appartiene a milioni di persone, non ai leader. Persone che hanno faticato a sciogliersi in un soggetto unico, mettendo da parte storie gloriose e centenarie. E che oggi dicono: se è la casa di tutti, litighiamo, scontriamoci, ma senza abbandonarla o distruggerla”. Così il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, che sta lavorando in prima fila per tentare una mediazione con la minoranza dem, dice in un’intervista a “Repubblica”. La sua proposta di mediazione consiste nell’allungare i tempi del congresso fino a maggio (primarie il 7) per poi avviare la campagna elettorale per le amministrative. Alla domanda su cosa si debba fare oggi dice Franceschini: “Sostenere il governo Gentiloni sia per le sfide che deve affrontare sia per completare le tantissime riforme del governo Renzi. Nel Pd ricucire il rapporto con il Paese. Celebrare il congresso con tempi meno affrettati possibile. Fare una legge elettorale come il presidente della Repubblica ha detto in modo molto chiaro. Il tempo c’è, dato che l’ipotesi di votare a giugno non esiste più”.