Nell’ambito della 89ª edizione della FAZI – Fiera Agricola Zootecnica Italiana, in programma dal 17 al 19 febbraio prossimi al Centro Fiera di Montichiari (Brescia), venerdì 17 febbraio alle 10:30 (Sala 4), Confagricoltura Brescia organizzerà una tavola rotonda sul tema della «Suinicoltura italiana tra certezze ed incognite», al quale parteciperanno – fra gli altri – l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, il professor Gabriele Canali, docente all’Università Cattolica e direttore del Crefis, il presidente di Confagricoltura Lombardia, Matteo Lasagna.
«Sarà un momento di confronto importante – afferma Serafino Valtulini, allevatore di Orzivecchi e presidente della federazione regionale di prodotto di Confagricoltura Lombardia – per impostare una politica di settore condivisa per i prossimi mesi».
Presidente Valtulini, è possibile spingersi anche a ipotizzare un andamento del mercato suinicolo per il 2017?
«Prevedere che cosa succederà nel 2017 al mercato dei suini è estremamente complesso. Anche in passato si è visto quanto sono stati facili i cambiamenti del mercato e l’andamento schizofrenico del comparto lattiero è stato ancora più evidente. Tuttavia, sono fiducioso che la politica pragmatica di Trump sfoci nella riapertura del mercato russo. Nel dialogo dovrà inserirsi necessariamente anche l’Unione europea, perché uno sbocco verso la Russia permetterebbe di alleggerire le pressioni al nostro interno».
A livello internazionale la Cina rappresenterà ancora una valvola di sfogo?
«Secondo gli esperti di mercato sembrerebbe di sì. L’Italia dovrebbe affrettarsi per conquistare nicchie di mercato importanti sia con le carni fresche che, soprattutto, con la salumeria di qualità. Un accordo per l’export è stato raggiunto, bisogna concretizzare l’apertura al mercato cinese. Allo stesso tempo, sono convinto che si debba guardare con insistenza i mercati esteri, dal momento che i consumi in Italia stentano a riprendere».
Una delle voci di costo che incide maggiormente sugli allevamenti è rappresentata dalla razione alimentare. Che segnali avete a riguardo?
«Partirei da un orizzonte più ampio. La congiuntura dovrebbe essere abbastanza favorevole. Il progetto Italico per la valorizzazione della carne suina è partito, nei giorni scorsi è stato costituito il Consorzio di garanzia del suino italiano e nelle prossime settimane si dovrebbe arrivare a definite uno o due disciplinari di produzione, i contratti annuali di fornitura della soia e del mais dovrebbero mantenersi al di sotto rispettivamente dei 350 e dei 200 euro alla tonnellata. Non è molto per i colleghi cerealicoltori, che soffrono la debolezza della congiuntura internazionale, ma per gli allevatori significa contenere le spese dell’alimentazione».
Ha parlato di progetto Italico e di Consorzio di garanzia del suino italiano. Entrambi mirano a tracciare e valorizzare la carne del suino nato, allevato e macellato in Italia. Sul primo sembra avere scommesso più Coldiretti, sul secondo più la Confagricoltura. Quali sono le differenze fra i due?
«La differenza è che il disciplinare del Consorzio di garanzia del suino italiano è gestito direttamente dagli allevatori e non da una società legata al consorzio di tutela del Prosciutto di San Daniele. Desideriamo tutelare tutte le produzioni del suino, ora vedremo se con un unico disciplinare o con due disciplinari diversi per il circuito Dop e non Dop. quello che ci preme è raggiungere il consumatore con un prodotto ottenuto da un suino nato, allevato e macellato in Italia, garantito da organismi di controlli snelli».
Qual è la sfida della suinicoltura: produrre di più o produrre meglio?
«Prima di tutto, se posso fare una battuta, è riuscire a percepire il premio previsto dal ministero delle Politiche agricole di 45 euro, destinato ad ogni scrofa in lattazione da marzo a giugno. C’è uno stanziamento per il settore suinicolo di 8,3 milioni di euro per la suinicoltura nel 2017, è un’iniezione per mantenere vivo il comparto, dopo la contrazione del numero di scrofe che c’è stata in questi anni.
Il futuro però ci impone di certificare la qualità del suino italiano, facendo capire al consumatore il valore aggiunto del Made in Italy sulla carne, i salumi e i prosciutti. In parallelo, la filiera dovrà fornire quello che la platea va reclamando, cioè il rispetto delle norme sul benessere animale o il controllo nell’uso degli antibiotici. In questi anni la suinicoltura lombarda ha raggiunto l’indennità per la malattia di Aujieszki, sta portando avanti progetti legati al miglioramento della biosicurezza, alla gestione corretta del farmaco, Confagricoltura sta studiando modelli di gestione degli allevamenti più efficienti, eppure non riusciamo a sconfiggere l’immagine negativa che i media rilanciano. Ma in questo mood si scredita una filiera che dà occupazione a oltre 200mila lavoratori. C’è anche un altro elemento che mi preme sottolineare».
Quale?
«Rientra nella casistica I have a dream, ho un sogno: una visione strategica e condivisa sulla programmazione fra organizzazioni di produttori e macelli. Serve una marcia compatta per raggiungere il consumatore».
Quali suggerimenti dare agli allevatori per migliorare la sostenibilità in azienda?
«Bisogna operare accorgimenti su tutti i fronti e comunicarli al consumatore. Il risetto dell’ambiente e del benessere animale, se sono certificati, devono poter assicurare all’allevatore un ritorno economico. Mi concentrerei su alcuni suggerimenti: è sempre più necessaria una sanitizzazione completa dei camion che dai macelli raggiungono gli allevamenti. Solo con una disinfezione totale si riducono i rischi che circolino le malattie, dalla Ped alla vescicolare. E poi bisogna ridurre i passaggi per certificare gli allevamenti circa il benessere ambientale e sanitario, in modo da contenere i costi».
Negli anni scorsi la soccida è cresciuta molto. Oggi sembra invece stazionaria. È così?
«Sembrerebbe di sì. È anche cambiato l’approccio, in alcuni casi. Per una decina d’anni la soccida è stata vissuta come una forma di ripiego dagli allevatori, oggi ci sono invece soggetti che lo fanno per scelta, per avere un reddito fisso e non esporsi alle oscillazioni del mercato. il mio auspicio è che non vi sia una recrudescenza delle clausole contrattuali sulle condizioni economiche stabilite dai soccidanti».