Con la riduzione degli spazi disponibili nel Sudest Asiatico, l’industria della Palma da Olio sta aprendo nuove frontiere in Africa ed America Latina, e ha causato già danni irreversibili a foreste ad alta biodiversità, utilizzate da tempi immemorabili dalle comunità indigene. Secondo il Forum Permanente sulle Questioni Indigene delle Nazioni Unite, 60 milioni di indigeni nel mondo corrono il rischio di perdere le loro terre e i mezzi di sussistenza a causa dell’espansione delle piantagioni per la produzione di agro energia. Così Dario Novellino, antropologo, ricercatore presso l’Università di Kent, direttore esecutivo di CALG, coalizione contro il furto delle terre, nel corso del convegno M5S sull’olio di palma.
Di questi, 5 milioni si trovano nel Borneo (Indonesia). Le conseguenze negative delle monocolture di palma da olio sono una realtà non solo in Indonesia, e Malesia, ma anche nelle Filippine, Cambogia, Tailandia, Papua Nuova Guinea, Colombia, Ecuador, Perù, Brasile, Guatemala, Messico, Nicaragua e Costa Rica, Camerun, Uganda, Liberia e Costa d’Avorio. In tutte queste regioni le grandi piantagioni di palma hanno violato il diritto delle comunità locali alla sovranità alimentare, in quanto privano le popolazioni del loro diritto a produrre i loro alimenti in accordo con i loro territori e la loro cultura.
In molti paesi, in particolare in Africa, la mancanza di riconoscimento da parte dello Stato dei diritti territoriali, così come del diritto all’utilizzo delle foreste e di altre risorse da parte delle popolazioni indigene, sta accelerando l’espansione delle monoculture della palma da olio su vasta scala. Molte compagnie della palma da olio direttamente coinvolte in vasti progetti di espansione, cercano di acquisire le certificazioni della RSPO (Round Table on Sustainable Palm Oil) per poter portare gli oli di palma, i loro derivati e prodotti nei mercati internazionali. Nonostante la RSPO dichiari di attenersi rigorosamente a principi di tutela dell’ambiente e dei diritti delle comunità (es. Consenso Libero Previo e Informato), molte organizzazioni sociali e ambientali la denunciano aspramente per aver legittimato interessi lesivi ai diritti delle popolazioni locali.
Infatti, varie imprese, membri della RSPO, continuano a distruggere grandi zone di foresta umida e a violare i diritti umani dei loro abitanti, come nel caso della Wilmar International nell’isola di Bugala (Uganda) e in Indonesia, PT SMART, Agro Group e IOI Group in Indonesia, FEDERPALMA in Colombia, o Unilever in Indonesia, Malesia e Costa d’Avorio, etc.
Non meno preoccupante sono gli effetti paralleli di cui l’industria della palma da olio è ritenuta responsabile: lo sfruttamento indiscriminato dei lavoratori all’interno delle piantagioni, la migrazione dalla campagna alla città, la povertà, i conflitti sociali, e repressione violenta di chi si oppone all’espansione delle monoculture, talvolta perpetrata anche attraverso la tortura ed esecuzioni sommarie. E’ necessario, pertanto, risolvere, nel più breve tempo possibile, tutti i conflitti esistenti legati alle terre vincolate a piantagioni di palma, questo implica la restituzione programmata dei territori ancestrali alle comunità locali e la riabilitazione delle foreste e torbiere danneggiate durante il processo di conversione in monoculture.