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Agroalimentare

Olio di palma, Dongo, Gift: emblema della globalizzazione dello sfruttamento

Olio di palma, Dongo, Gift: emblema della globalizzazione dello sfruttamento
fonte: AGV NEWS/AGRICOLAE
di Agricolae

Ho iniziato a occuparmi di olio di palma nel 2010, poiché già a quei tempi l’estensione delle coltivazioni di palma rappresentava – come tuttora rappresenta – una causa primaria di ‘land grabbing‘, la rapina delle terre, vale a dire l’espropriazione di vaste aree di territorio alle popolazioni che le hanno abitate e utilizzate per generazioni, senza raccogliere il loro consenso né reintegrarle nei loro diritti. Questo l’intervento nel corso del convegno M5S sull’olio di palma di Dario Dongo, avvocato e giornalista, fondatore dei progetti GIFT (Greatitalianfoodtrade.it) e FARE (Food & Agriculture Requirements). La rapina delle terre viene spesso realizzata con gravi atti di violenza, oltreché con incendi e devastazioni. E ha tuttora luogo in Sud-Est asiatico, Africa centrale e America Latina (Fonti Grain – Farmlandgrab.org, Land Matrix).



È poi emerso il problema dello sfruttamento dei lavoratori e del lavoro minorile nelle coltivazioni di palma. Il recente rapporto di Amnesty International rivela condizioni di lavoro in palese violazione della Dichiarazione ILO, oltreché della convenzione ONU per i diritti dell’infanzia. Con l’aggravante dell’impiego di pesticidi neurotossici come il paraquat, il cui utilizzo è vietato nei Paesi utilizzatori del palma, dall’Europa agli USA.



Si aggiunge il tema della distruzione irreversibile di ambiente e biodiversità nelle foreste vergini tropicali. Le deforestazioni di cui il palma è causa primaria a tutt’oggi rappresentano la prima causa di emissioni di CO2 nel Sud-Est asiatico. E laddove le foreste vergini cedono il passo a monocolture soggette a trattamenti intensivi con agrotossici, allo sterminio delle specie animali e vegetali autoctone segue la sterilizzazione dei suoli, a sua volta causa di desertificazione.



Il palma rappresenta perciò l’emblema della globalizzazione dello sfruttamento, in nome della disponibilità di una materia prima agricola a basso costo. A servizio delle industrie alimentare, cosmetica e del ‘personal care’, oltreché dei c.d. ‘biofuels’. In barba ai proclama di ‘Corporate Social Responsibility’ che in questo ambito si risolvono in pseudo-certificazioni auto-referenziali e prive di concreti riscontri in termini di tracciabilità e bilanci di masse (come FSC, ndr).



A inizio 2014 ho predisposto una petizione volta a escludere il palma dagli alimenti, proponendola a varie associazioni di consumatori, ma a quel tempo nessuno comprendeva la gravità del fenomeno. Sono solo riuscito a convincere l’amico fondatore del Fatto Alimentare, e così abbiamo lanciato la petizione a nome delle due testate, GIFT e FA. Poco prima dell’applicazione del regolamento UE 1169/2011 – che ha introdotto l’obbligo di precisare la natura dei grassi in etichetta – e dell’avvio di Expo MI 2015.



In pochi mesi la petizione ha riscosso un successo superiore a ogni aspettativa, 176 mila firme. Alle gravi questioni socio-ambientali si sono aggiunte varie considerazioni di ordine salutistico. Poiché il palma – il grasso più utilizzato nella trasformazione di alimenti, per via del basso costo e della facilità d’impiego – è onnipresente ma ‘saturo di grassi saturi’. Grassi non necessari – altri oli vegetali ne sono privi – che si aggiungono a quelli apportati da cibi il cui consumo è invece raccomandato, in ragione di ulteriori virtù (es. latticini, carni, frutta secca).



Il 3 maggio 2016, la svolta. Allorché EFSA, l’Autorità europea per la Sicurezza Alimentare, ha pubblicato un’opinione scientifica allarmante, evidenziando la presenza di contaminanti di processo genotossici e cancerogeni (GE, 2 e 3-MCPD) che l’olio di palma contiene in misura fino a 10 volte superiore rispetto ad altri oli vegetali raffinati. È emerso un grave rischio per la sanità pubblica, per i bambini e i minori soprattutto, che la Commissione europea e le autorità sanitarie degli Stati membri hanno dolosamente omesso di gestire, come invece prescritto dal ‘General Food Law’ (Reg. CE 178/02).



Abbiamo assistito a una feroce controffensiva dei ‘palmocrati’, i colossi asiatici che producono e quelli internazionali che utilizzano questo grasso tropicale, i quali hanno investito milioni di euro in pubblicità per disinformare i cittadini. Proponendo la falsa immagine di un olio ‘buono’, come fosse la spremuta di un frutto fresco e ricco di vitamine. Sottacendo la rapina delle terre, le deforestazioni, il trattamento a 200°C.



Ma i consumAttori, grazie alle informazioni circolate sul web e i ‘social network’, non hanno creduto alla favola del palma buono e hanno reagito con lo strumento più efficace, la scelta di acquistare solo prodotti senza olio di palma. Costringendo di fatto la quasi totalità degli operatori a cambiare le ricette, optando per oli che hanno consentito una drastica riduzione di grassi saturi e così il diffuso miglioramento dei profili nutrizionali dei prodotti a scaffale.



Frattanto i pionieri – cioè le industrie e i gruppi della Grande Distribuzione Organizzata che per primi hanno saputo reagire a questo fenomeno – hanno consolidato la fiducia dei consumatori verso i loro marchi. Avviando un percorso destinato a crescere nella direzione della qualità totale, che comprende sia la sostenibilità dei prodotti (anche non alimentari), sia la sicurezza nutrizionale degli alimenti. Un percorso che già si manifesta con l’offerta di prodotti che derivano da filiere integrate sui territori, equi e ‘buoni per la salute’.